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#256779 Filosofia

Scritti d'arte.

Autore:
Curatore: Prefazione di Andrè Balanchine. Traduzione di Bianchina Fumagalli.
Editore: Ediz.Medusa.
Data di pubbl.:
Collana: Coll.Le Porpore,110.
Dettagli: cm.14x22, pp.90, br. sopracop.fig.a col. Coll.Le Porpore,110.

Abstract: «Da Grunewald a Dali, dal Cristo putrefatto all'asino putrefatto, nell'eccesso di certe fermentazioni, in fondo ai più venefici splendori - scriveva René Crevel poco prima di morire nel 1935 -, la pittura ha saputo trovare ed esprimere delle verità nuove che non erano soltanto di ordine pittorico. Ma questo apporto di conoscenze, questo aiuto in vista della trasformazione di un mondo non potrebbero bastare affinché l'uomo munito di pennello aspiri al ruolo di mago che, dopo il Romanticismo, l'uomo di penna ha osato pretendere di essere, non senza rendersi ridicolo. Troppi spettacoli sollecitano gli occhi che sanno vedere affinché vogliano ubriacarsi della bellissima opale corrotta, cielo diurno offerto ai fantasmi della notte, a quei mostri che, secondo Goya, genera il sonno della ragione. Al museo Gustave Moreau, davanti a una tela splendida e tuttavia limitata al suo splendore, basandosi, forse, su ricordi intimi di quel pittore che aveva conosciuto personalmente, il custode pronunciò queste parole che valevano tutti i ragionamenti più o meno teorici: "Si tratta di bella pittura, ma è pittura da egoista". Adesso però non è più il tempo della pittura egoista. Il padre del purismo austero, come amava definirsi, Amedée Ozenfant, deciso a non rinnegare i suoi fratelli maggiori, impressionisti, fauves, cubisti, costruttivisti, astrattisti, le cui opere rappresentano ammirevoli inventari dei metodi dell'arte, sempre pronta comunque a tener conto delle esperienze dell'avanguardia, dichiara che la ricerca della purezza fine a se stessa è un lavoro sterile. Ed esclama: "L'ossessione dell'abisso scavato tra il popolo e se stesso finisce per provocare una vertigine paralizzante". Questo fatto, enunciato sotto una forma antitetica, è sostenuto dalla tesi di André Derain, secondo cui non è compito dell'artista educare il popolo, ma è il popolo che deve educare l'artista. Andando contro tutti gli estetisti, Derain dà ragione al tizio che sta disegnando sui muri con un carboncino, perché considera i graffiti l'origine delle opere più belle e perché ha imparato molto guardando un marinaio che ridipingeva la sua barca, e insiste: "È il popolo che crea le parole e dà a esse spessore, così come è il poeta che gli dà il ritmo".» (Dall'autobiografia di René Crevel).

EAN: 9788876983634
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#301743 Filosofia
Traduzione di Claudiana Fumagalli. Prefazione di Marcel Jouhandeau. Milano, Medusa Edizioni 2017, cm.12x15, pp.130, brossura con bandelle. Collana Le Api,30. “Nato il 10 agosto 1900 a Parigi da genitori parigini, il che gli permette di avere l’aria slava. Liceo, Sorbona, facoltà di diritto. Servizio militare fino alla fine del 1923, da qui l’impressione di vivere veramente soltanto dopo alcuni mesi. Non è stato né in Tibet, né in Groenlandia e neppure in America, ma i viaggi non fatti in superficie ha cercato di farli nel profondo. Così può vantarsi di conoscere bene certe strade e i loro alberghi di giorno e di notte. Ha orrore di tutti gli estetismi, sia che si tratti di quello di Oxford e dei pantaloni larghi, sia di quelli dei rimorsi di cinema con le loro case di traverso, quello dei negri e del jazz, delle sale da ballo e dei pianoforti, ecc. Per i romanzi futuri vorrebbe trovare personaggi così nudi, viventi come i coltelli e le forchette che rappresentavano gli uomini e le donne nelle storie destinate a rimanere inedite ma che lui raccontava quand’era bambino. Aveva iniziato le ricerche per una tesi di dottorato in lettere su “Diderot romanziere” quando, con Marcel Arland, Jacques Baron, Georges Limbour, Max Morise, Roger Vitrac, fondò una rivista, “Aventure”, che gli fece dimenticare l’ottocento e il novecento. Fu allora che conobbe Louis Aragon, André Breton, Paul Éluard, Philippe Soupault, Tristan Tzara e un giorno, davanti a un quadro di Giorgio de Chirico, ebbe la visione di un mondo nuovo. Trascurò definitivamente il vecchio granaio logico-realista, capendo che era da vigliacchi rinchiudersi in una mediocrità ragionevole e che, nei veri poeti, non trovava né giochi di parole, né giochi d'immagini, ma li amava – e fra tutti in particolare Rimbaud e Lautréamont – per il loro potere liberatorio. Ha partecipato alle prime esperienze ipnotiche da cui André Breton trasse spunti per il suo “Manifesto del Surrealismo”. Ha quindi potuto constatare di persona che il surrealismo era il meno letterario e il più disinteressato dei movimenti e, persuaso che non c'è vita morale possibile per chi non è docile a seguire le vie sotterranee o si rifiuta di riconoscere la realtà delle forze oscure, ha deciso una volta per tutte e col rischio di passare per un Don Chisciotte, un arrivista o un pazzo, di cercare, attraverso le sue azioni e gli scritti, di abbattere le barriere che limitano l'uomo e non lo sostengono” (Dall’“Autobiografia” di René Crevel). Prefazione di Marcel Jouhandeau.

EAN: 9788876983627
EUR 13.50
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