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#287091 Firenze

Palazzo Davanzati tra realtà e sogno. Federigo e la bottega degli angeli. Federigo anf the Angeli Workshop. Dream and reality.

Autore:
Curatore: Edizione italiana e iglese. A cura di Rosanna Caterina Proto Pisani e Francesca Baldry.
Editore: Sillabe.
Data di pubbl.:
Dettagli: cm.23x30, pp.102 illustrazioni a colori, brossura copertina figurata a colori.

Abstract: L'occasione della riapertura del Museo della casa fiorentina antica, con sede nel Palazzo Davanzati di Firenze non poteva essere meglio celebrata che con una mostra di pittura dedicata a Federigo Angeli, il colto e versatile pittore che nel corso del Novecento realizzò, a capo di una fervida bottega, il restauro delle pitture murarie, dando vita e corpo al grande sogno di rinascita di un luogo e un palazzo da troppo tempo decadente. Il saggi introduttivi sono un esauriente spaccato della società e della cultura artistica fiorentina tra Ottocento e Novecento, quando la passione per l'arte italiana e fiorentina in particolare, trovava nuova linfa e nuovo fermento dal colto interesse di magnati e nobili americani e inglesi tra i quali, sir Acton, F. Stibbert. Altri approfondimenti esauriscono la conoscenza della vicenda storica e architettonica di Palazzo Davanzati e della sua miracolosa salvezza dall'ondata di demolizioni che interessarono il centro storico di Firenze.La ricca selezione di quadri, realizzati nelle più diverse tecniche pittoriche, illustrano il percorso artistico di Federigo Angeli e i progetti e bozzetti per le più impegnative opere pittoriche e degli altri pittori che contribuirono alla decorazione del bellissimo palazzo.

EAN: 9788883475108
EUR 26.00
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#201 Arte Varia
Sesto Fiorentino, Villa Corsi Salviati,24 ottobre- 22 novembre 1981. A cura di Maria Pia Mannini. Firenze, Electa Ed. 1981, cm.22x24, pp.127, 66 ill.bn.e alcune tavv.a col.a p.pag. brossura cop.fig.a col.
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Firenze, Biblioteca Medica Laurenziana, 4/2-15/04/1984. Prefazione di Giulio Carlo Argan. Firenze, Centro Di Ed. 1984, cm.22x24, pp.214, numerose illustrazioni bn.e a colori nel testo molte a p.pagina, brossura copertina figurata a colori.

EAN: 9788870380804
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Venezia, Palazzo Grassi, 30/9-22/10/1978. A cura di Marco Semenzato. Venezia, Azienda Automoma di Sogiorno e Turismo di Venezia 1978, cm.20x21, pp.328, illustraz. bianco e nero e a colori nel testo, brossura con copertina figurata a colori. Collana Mostra Mercato Internazionale dell'Antiquariato.
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Firenze,Palazzo Strozzi,28/4-30/6/1979. A cura del Comune e della Provincia. Firenze, Vallecchi 1979, cm.22x24, pp.77, 24 tavv.a col.a p.pag. 306 ill.bn.molte a p brossura copertina figurata a colori.
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Prefaz.di Arturo Uslar Pietri. Traduzione di Maria Alvergna. Bologna, FirenzeLibri Editore 1980, cm.14x21, pp.120, brossura copertina figurata. Coll.I Libri di Massimiliano Boni. Delta, Figure Momenti e Problemi della Cultura Moderna,4. Tre saggi dedicati dal grande storico inglese al problema economico nel-l'America Latina visto nei suoi aspetti, oltre che economici, storici, sociologici e politici. Importante prefazione di Arturo Uslar Pietri, una delle maggiori per-sonalità della cultura venezuelana d'oggi.

EAN: 9788876223976
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#326686 Militaria
Documentata storia della celebre accademia militare napoletana. Con una narrazione agile e suggestiva, sullo sfondo della Napoli borbonica, risorgimentale e italiana, il volume rievoca la gloriosa attività del famoso istituto militare di Pizzofalcone, fondato nel 1787, e le vicende di cui furono protagonisti molti dei suoi allievi. È questa la prima storia completa della Nunziatella, nelle cui aule insegnarono Basilio Puoti e Francesco De Sanctis e furono educati Guglielmo Pepe, Pietro Colletta, Mariano D'Ayala, Carlo Pisacane, Enrico Cosenz, Amedeo di Savoia duca d'Aosta. Napoli, Sergio Civita Editore 1990, cm.16x24, pp.220, ill. legatura editoriale cartonata, sopraccoperta figurata a colori.
EUR 22.00
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Lecce, Capone Editore 2005, cm.21x21, pp.106, illustrazioni a colori. brossura con copertina figurata a colori. "Non mancano cenci e rattoppi nelle tavole di Lindström; egli non indulge nella rappresentazione oleografica della gente comune, secondo la quale questa appare tutto sommato felice del proprio stato perché incorrotta e dotata di una naturale sensibilità. In fondo, Napoli offriva di sé un'immagine composita e colorata, l'idea di un universo in permanente subbuglio, di un teatro dei mille mestieri e sistemi di condurre la vita, non certo, invece, di una metropoli tentacolare, dotata di un ventre che sia il luogo del vizio e della dissoluzione. I vestiti lacerati e rammendati, le scarpe deformate e sfondate (quando ci sono) non scandalizzano, anche perché non si accompagnano a un sentimento di disagio, o a una denuncia, o a un messaggio di solidarietà e di rivolta; ogni discorso, ogni possibile angoscia si stemperano inevitabilmente nel pittoresco, nel curioso, nel particolare inconsueto. Nelle tavole di Lindström ciascuno mette in campo quel che sa fare, poco o tanto che sia, portare in spalla la bara di un bambino, cuocere maccheroni, scrivere, qualunque abilità e servizio tornano utili, hanno un significato sociale; ogni cosa può servire, non si butta nulla, ogni cosa può servire, anche se rotta e consunta può conservare una funzionalità, assumerne una nuova. C'è una logica dietro, che non è solo quella del conservare a ogni costo, ma del riuso, del recupero, del riacconciare, ricucire, recuperare; in quest'ottica ogni oggetto ha comunque un suo pregio e si muove in un ciclo di trasformazioni. Se si considera questa dinamicità, tanto più risulta artificiosa la fissazione di un modello, di un abito quando assume la definizione di costume popolare. Con questo non voglio di-sconoscere che esistono forme e fogge del vestire che hanno una durata lunga: voglio dire che esse in un contesto storico preciso si vedono attribuire un determinato valore simbolico e per questo assumono rilevanza e un significato che resistono anche in tempi successivi, quando sembrerebbero fuori luogo rispetto alle abitudini suntuarie generalmente condivise; gli esempi da proporre sono tanti, si pensi alle livree dei domestici, ai paramenti sacri, alle toghe dei magistrati, al frac dei direttori d'orchestra. Come ho accennato sopra, il cosiddetto costume popolare, stabilito paese per paese, contrada per contrada sulla base di ritratti eseguiti tra la seconda metà del XVIII secolo e la prima del XIX, spesso riproduzioni di precedenti stampe, ha subito un processo analogo, è una specie di invenzione. Vorrei ricordare qui il caso esemplare, dettagliatamente studiato, del costume popolare scozzese, il cosiddetto kilt, vestito attribuito ai più antichi abitanti della Scozia, il cui colore cambiava a seconda del clan di appartenenza. Questo è dato comunemente per scontato, ma sappiamo anche che si tratta di una vera e propria mistificazione; quando i sovrani e i principi inglesi indossano il gonnellino di lana a quadretti non vestono i panni di lontani eroici mitici highlanders, ma fanno una figura molto meno nobile. Un quacchero inglese, Thomas Rawlinson, costruì una fornace per la fusione del ferro tra i boschi di Inverness; gli operai impiegati per l'abbattimento degli alberi che dovevano fornire la legna necessaria indossavano il consueto plaid stretto alla cintura, indumento utile a fungere da coperta e più comodo dei pantaloni perché lasciava scoperte le gambe in un ambiente umido e acquitrinoso; siamo negli anni Trenta del Settecento. Rawlinson ebbe l'intuizione di semplificare quel capo per renderlo meno ingombrante, e per questo bastava separare la sottana rendendola autonoma dal resto del plaid: "Possiamo quindi concludere", scrive lo storico Hugh Trevor-Roper, "che il kilt è un costume assolutamente moderno, progettato, e portato per la prima volta, da un industriale quacchero inglese, che lo offrì agli highlanders non per tutelare il loro modo di vita tradizionale, ma per facilitarne la trasformazione: per strapparli all'erica e portarli in fabbrica". Il movimento romantico impose, infine, a dispetto delle obiezioni di filologi e storici, l'attributo di antichità dell'indumento, che divenne simbolo della vecchia buona vita selvaggia e di una identità nazionale. In modo meno rumoroso, ma, sostanzialmente, non dissimile, si è determinato un po' dappertutto il conferimento della patente di costume popolare agli abiti: un oggetto diventa tradizionale quando tale è definito da una qualche forma di autorità (scientifica, politica, morale) che in tale veste lo descrive e lo impone. Costumi e vestimenti di Lindström sembrerebbe rifuggire da siffatti meccanismi di istituzionalizzazione, sebbene, forse involontariamente, ne assecondi altri che agiscono più sottilmente nella produzione di stereotipi, come quello del napoletano fantasioso e incostante, maestro come pochi nell'arte di arrangiarsi, appassionato cultore della religione dei santi ma non necessariamente dei dieci comandamenti, furbo e affamato come Pulcinella, tendenzialmente sfortunato e dedito all'autocommiserazione. Ma credo che, giunti a questo punto, alla conclusione del presente discorso sia opportuno assumere una posizione, per così dire, maggiormente panoramica, cercare di spaziare da lontano con lo sguardo sul terreno storico e culturale, e il lettore mi scuserà se per rendere chiara questa intenzione racconterò brevemente un episodio autobiografico. Qualche anno fa, alcuni colleghi dell'Università della Basilicata ed io demmo vita a una rivista di etnografia; decidemmo di dedicare il primo numero interamente alla Basilicata, in omaggio alla regione che ci ospitava e che, come è noto, rappresenta per la storia degli studi antropologici in Italia un luogo particolarmente significativo, e ci fermammo non poco a riflettere su quale fosse l'immagine più adatta da riportare in copertina: la scelta cadde sul dettaglio di un tessuto di ginestra, coloratissimo, prodotto a San Costantino Albanese. La materia prima, povera, di cui era costituito rinviava a un legame stretto con il territorio in cui abbonda la pianta utilizzata; oltre a ciò, la trama e l'intrecciarsi dei colori di un oggetto realizzato in una comunità albanese invita a pensare ai contatti e agli intrecci tra gruppi e persone, succedutisi o ripetuti nel tempo in un luogo che non è stato scenario passivo di questi incontri, ma che li ha accolti subendone trasformazioni, sfruttamento, modificazioni. Ernest Gellner ha affermato che una ideale mappa il mondo somiglia a un dipinto di Kokoschka, un quadro in cui la confusione dei diversi punti di colore è tale che nessun elemento si distingue nei. I mille e più colori dei capi di abbigliamento, i materiali dei tessuti, le sovrapposizioni dei cenci, i ricami certosini delle doti, i luminosi abiti delle spose, i monili più e meno preziosi, il nero del lutto dipingono la storia degli uomini, e in questo mondo variopinto trova senso il desiderio coltivato anche nei momenti bui della vita, nella miseria, nella povertà: indossare una volta tanto l'abito della festa ed oggetti di pregio, un vestito di stelle, di luna, di sole, come avvenne per la Gatta Cenerentola, liberarsi dalla fatica e dal lavoro e dai consueti panni quotidiani". Indice del volume: Vestiti e colori; 1. Osservare, osservare; 2. Vestiti e porcellane; 3. Il popolo e la cultura; 4. Cenci; Bibliografia; Costumi e Vestiture Napolitani disegnati ed incisi nel 1836 da Carl Jacob Lindström. L'Autore: Eugenio Imbriani (1958) insegna Antropologia culturale presso l'Università di Lecce. I suoi studi più recenti riguardano i temi della scrittura popolare e le questioni relative alle politiche della memoria; si occupa di folklore ed ha pubblicato numerosi saggi sugli aspetti della cultura popolare in particolare nell'Italia meridionale. Fra i suoi volumi più recenti ricordiamo La scrittura infinita (2002), Dimenticare. L'oblio come pratica culturale (2004). Per i tipi della Capone Editore ha già pubblicato Nel paese delle livree. Folklore in frammenti (1990).

EAN: 9788883490743
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Milano, Touring Club italiano Espresso 2005, cm.11x16,5, pp.960, 86 cartine legatura editoriale cartonata, cofanetto. Coll.L'Europa e i Paesi del mediterraneo,10. Biblioteca di Repubblica.
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