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Conversazioni con James Joyce.

Autore:
Curatore: Introduzione di Riccardo Campi. Traduzione di Franca Ruggieri.
Editore: Medusa.
Data di pubbl.:
Collana: Coll.Le Porpore,118.
Dettagli: cm.15x23, pp.144, brossura sopraccoperta figurata a colori. Coll.Le Porpore,118.

Abstract: È dal fondo dei primi anni Venti che riemerge l'immagine di Parigi in cui s'imbatte, per prima cosa, il lettore di questo libro di Arthur Power - scrive Riccardo Campi nell'Introduzione -. Nulla vi manca: l'incontro con la metropoli del giovane straniero (irlandese) con aspirazioni artistiche che vi giunge solo e sconosciuto; la sua progressiva scoperta dei diversi quartieri della città - a piedi, beninteso, «perché Parigi è troppo interessante per essere visitata in auto o in metropolitana»; Montmartre, ormai disertata dagli artisti... il nuovo quartiere degli artisti, Montparnasse, dove il giovane stringe amicizia (al caffè, naturalmente) con lo scultore Ossip Zadkine; l'ombra di Amedeo Modigliani, che la miseria sta ormai uccidendo. Non mancano neppure spogli studi di artisti, con vaste vetrate che danno su umidi giardini o, alternativamente, raggiungibili inerpicandosi su ripide scale (Parigi senza vecchie mansarde con vista sui tetti sarebbe come Roma senza Colosseo)... È la Parigi degli ambienti cosmopoliti che il lettore che conosce il VII capitolo dell'Autobiography of Alice B. Toklas si attenderebbe di ritrovare anche nelle pagine di Power - e che puntualmente ritrova... Questa cartolina seppiata della Parigi della Lost Generation è lo sfondo su cui, nelle pagine di Arthur Power, si staglia, isolata, estranea, la figura di James Joyce: «Sembrava che gli splendori e le attrazioni della vita francese attorno a lui gli fossero indifferenti e nutrissero il suo talento solo nella misura in cui egli apprezzava la propria libertà intellettuale e la propria 'convenienza'. Tutto quel che gli veniva da dire su Parigi, quando qualcuno gli chiedeva il suo parere in proposito, era: 'È una città molto conveniente', anche se io non sono mai riuscito a scoprire cosa volesse dire con questa espressione». Se non è dato sapere con certezza come si debbano interpretare queste parole di Joyce, si potrà almeno dire che Parigi fu per certo, come scrisse Borges, una di quelle «città dell'esilio / che fu per te l'odiato / ed eletto strumento, / l'arma della tua arte» - per questo, forse, Parigi appariva a Joyce «molto conveniente»: fu proprio a Parigi, infatti, che, nei mesi che seguirono l'incontro con Power, venne portato a termine e pubblicato l'Ulisse.

EAN: 9788876984112
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In appendice vengono pubblicate le seguenti note critiche: Shakespeare e la Ronda. Montale e la Ronda. Poesia satirica di Gaetano Arcangeli. In margine ad un saggio sulla poesia di Roberto Roversi. Montale fuori casa. Lettere di Saba, Comisso, e Svevo. Narrativa e verità, piccolo omaggio a Tecchi narratore. Adriano Tilgher e la valorizzazione delle polemiche. Storia dei movimenti estetici nella cultura italiana. La leggenda di Bazlen. De Robertis "Vociano". Bologna, FirenzeLibri Editore 2013, cm.14x21, pp.160, brossura Coll.I Libri di Massimiliano Boni. Quaderni di Critica e Poesia,1. Ristampo in questo mio saggetto moderatamente (almeno spero) polemico, scritto qualche anno fa ed edito dall'Editore Tamari di Bologna, in difesa del leopardismo dei rondisti e che era da tempo esaurito. E' evidente che ho ristampato il saggetto perché lo credo ancora valido. Naturalmente sarà poi l'eventuale lettore a giudicare questa mia, alquanto arrischiata, "credenza".

EAN: 9788876223983
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A cura e prefazione di Alessandro Zaccuri. Milano, Medusa Edizioni 2010, cm.11,5x20, pp.272, brossura, copertina figurata. Coll.La Zattera,25. «A differenza di altri critici portati all'applicazione della giustizia sommaria in ambito letterario, Giuseppe Bonura non invocava mai la regola del "non l'ho letto e non mi piace". Leggeva tutto, al contrario, specialmente quello che prevedeva non gli sarebbe piaciuto. Leggeva nella speranza di essere smentito, di scoprire che un narratore era cresciuto oppure che un critico aveva meglio focalizzato interessi e metodo di lavoro. E leggeva nel timore di essersi sbagliato, di aver operato un'eccessiva apertura di credito nei confronti di un autore che, invece, si era affrettato a capitalizzare la propria reputazione in chiave commerciale. Di tutti i peccati che in letteratura si possano commettere, l'unico che Bonura non era disposto a perdonare era infatti l'asservimento (intenzionale o, peggio ancora, involontario) alle regole del mercato, l'omologazione a un modello di intrattenimento "aeroportuale", il ricorso peloso alla ruffianeria e al compiacimento. Gli articoli raccolti in questo libro apparecchiano un dossier vasto quanto sorprendente, nel quale, pur ricorrendo frequentemente la stroncatura - un'arte oggi assai poco praticata, che Bonura sapeva rendere con sferzante ironia - non mancano gli esercizi di ammirazione, né le ammissioni di lealtà e valore pur in un contesto di aperto dissenso. Una lezione di "critica militante" esemplare e rara in questa società dove, anche e più che mai fra scrittori, vige il "politicamente corretto"».

EAN: 9788876982019
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Testo raccolto da Georges Belmont. Traduz.e note di Augusto Donaudy. Milano, SE Ediz. 2022, cm.13x22, pp.350, num.ill.bn.in tavv.ft. brossura cop.fig.a col.con bandelle, Coll.Testi e Documenti,146. “Quando Marcel Proust morì, già celebre nel mondo, nel 1922, molti si precipitarono da colei ch’egli chiamava la sua «cara Céleste», per ottenerne la testimonianza, i ricordi. Molti sapevano che solo lei (per essergli vissuta accanto negli otto decisivi anni della sua esistenza) deteneva verità essenziali sulla persona, sul passato, sugli amori, sullo sguardo sul mondo, sul pensiero, sull’opera di quel grande, geniale infermo. Quelle stesse persone non ignoravano che, per ore e ore, tutte le notti – notti che erano il giorno per quell’uomo –, Céleste Albaret aveva avuto l’eccezionale privilegio di sentirlo raccontar di sé sul filo della memoria, e raccontare le serate da cui tornava, e mimare e ridere come un fanciullo e tracciare già ad alta voce questo o quel capitolo dei suoi libri. Céleste era il testimone principe, il centro di tutto. Ma per cinquant’anni rifiutò di parlare. La sua vita, diceva, se n’era andata con Monsieur Proust. E come lui s’era costretto, in volontaria reclusione, nella propria opera, così lei ormai voleva vivere da reclusa nella sua memoria. Soltanto così lui sarebbe rimasto il magnifico monarca dello spirito e il mostro di tirannia e di bontà ch’ella aveva, come oggi dice, «amato, subìto, assaporato». Tentare di render tutto questo – e di renderlo malamente, come temeva – avrebbe significato tradirlo. Se ora, a ottantadue anni, ha mutato parere è perché ha ritenuto che altri, meno scrupolosi, avessero tradito Marcel Proust, sia perché non disponevano delle sue fonti di verità, sia per eccesso di fantasia o per la tentazione di erigere a tesi le loro piccole, «interessanti» (o interessate) ipotesi. Quanto a me, affermo che non avrei accettato di farmi l’eco di Madame Albaret se dopo alcune settimane – sui cinque mesi che durarono le nostre conversazioni – non mi fossi convinto della sua assoluta sincerità. Poiché questo libro urterà molti preconcetti e susciterà numerosi malumori, volevo esser assolutamente certo di non prestarmi a un altro genere di tradimento: quello, come ho detto un giorno a Madame Albaret, di erigere un’icona.” (Dall’introduzione di Georges Belmont)

EAN: 9788867237296
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The Purple Island 1633 di Phineas Fletcher. Catania, edit 2009, cm.14x21, pp.226, con illustrazioni in bianco e nero. brossura copertina figurata a colori. Coll. Studi,9. Questo volume, affronta l'analisi degli incerti confini di ibridazione e scambio tra anatomia e letteratura nell'Inghilterra elisabettiana. Il tradizionale isolamento britannico rispetto agli esiti macroscopici della Rivoluzione Scientifica viene qui criticato attraverso l'analisi di un cospicuo corpus di testi che dall'anatomia derivano importanti motivi figurali e tematici. Collocandolo in questo panorama testuale, il volume analizza il poema allegorico The Purple Island (1633) di Phineas Fletcher. The Purple Island dimostra che l'anatomia inglese, aprendosi alle più diverse ibridazioni con generi, motivi e modi letterari, agisce non solo sulla struttura profonda del testo moderno, di cui sancisce e inficia la coerenza discorsiva, ma anche sulla natura stessa del corpo poetico, del quale offre una straniante icona visiva

EAN: 9788889726266
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