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La letteratura francese. Vol.I:Dal Medioevo al Settecento.

Autore:
Editore: Mondadori.
Data di pubbl.:
Collana: Coll.I Meridiani.
Dettagli: cm.11x17,5, pp.XVI,1516, legatura e.in tutta pelle rossa, sopracoperta trasparente. Coll.I Meridiani.

EAN: 9788804305484
EUR 55.00
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Milano, Adelphi Ed. 1987, cm.14x22, pp.235, brossura sopracop. Coll.Saggi,36. Con questo libro Giovanni Macchia torna a visitare le proprie radici, le figure con cui si confrontò agli inizi della sua vita di scrittore. Alcune gli apparvero nelle aule di Palazzo Carpegna, dove aveva sede allora la facoltà di lettere di Roma. Dietro quelle alte e strette porte, che conservavano un loro disegno settecentesco, Macchia scopriva le inflessioni di una parola vaga e imperiosa, che avrebbe dominato la sua vita: letteratura. «Mi trovavo nella situazione descritta in una famosa lirica di Baudelaire. Ero anch’io il bambino avido dello spettacolo e che odia il sipario». Erano gli «anni dell’attesa». Così cominciano a sfilare le figure decisive, come P.P. Trompeo, che porta a lezione un libro nuovo fiammante, il Baudelaire che inaugurava la celebre collana della Pléiade. E proprio quello era l’autore a cui Macchia sarebbe rimasto più fedele. O figure come Cesare De Lollis, erudito di vasta latitudine, viaggiatore fra culture «diverse per la natura del suolo e per vegetazione». In De Lollis, come poi in Macchia stesso, i fatti e le idee non si divaricano mai in una incongrua opposizione. Sempre nella costellazione della «cultura», intesa nel senso di De Lollis, come mediazione fra i severi studi storici e la percezione estetica, si disegnano i profili di Ferdinando Neri, con il suo «male della perfezione», o di Luigi Foscolo Benedetto, «in cui la impeccabile precisione filologica si allea ad un temperamento critico vivido e appassionato». Infine, in ragionata progressione, e delicatamente svincolandosi dall’ambito universitario, Macchia passa alle opere di quei saggisti che furono maestri della prosa oltre che della storia, e spesso usarono la forma dell’elzeviro per sviluppare una preziosa variante italiana dell’essay: Emilio Cecchi e Mario Praz, Sergio Solmi e Giacomo Debenedetti. Con occhio attento alle più sottili differenze fisiognomiche, Macchia si muove fra loro come un vecchio amico, partecipe degli stessi climi della sensibilità, e quasi come un complice e continuatore, ancora una volta per una via inconfondibile, della loro opera. Questo libro di ritratti include, seminascosto, un autoritratto – e insieme ci offre la prima ricognizione coerente di una zona fra le più alte della cultura italiana, tuttora ricca di suggestioni neglette, che aspettano solo di essere colte.

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